A più di 10 anni dall’entrata in vigore del provvedimento che impone che le buste per la spesa (i cosiddetti shopper) siano biodegradabili (negli anni dovranno essere anche compostabili) più di una borsa in plastica “fornita ai consumatori per il trasporto di merci o prodotti” su quattro (il 28% per l’esattezza) non risponde ai requisiti di legge. È insomma illegale.
Il dato è emerso durante la presentazione del “IX Rapporto sulla filiera italiana delle bioplastiche compostabili” presentato il 6 luglio a Roma durante un convegno organizzato da Assobioplastiche, Consorzio Biorepack e CIC (Consorzio Italiano Compostatori). Facendo la spesa al supermarket o nel negozio di quartiere sotto casa, una volta su quattro ci troviamo consegnata una busta che non è certificata biodegradabile e compostabile come impone la legge.
I protagonisti dell’aggiramento della norma rischiano un’ammenda da 2.500 euro fino (in caso di grandi quantità) a 100.000 euro. Eppure nell’ultimo periodo la diffusione degli shopper pirata è aumentata.
La produzione ha raggiunto le 127.950 tonnellate di manufatti compostabili: +2,1% sul 2021, + 226 dal 2012; il fatturato complessivo valeva 1.168 milioni di euro (+10,1% sul 2021, con un tasso di crescita media annua del 10% dal 2012, quando era di 370 milioni).
Gli addetti (le risorse che nelle aziende del comparto si occupano direttamente dei prodotti che entrano nella filiera delle plastiche compostabili) sono 3.005: +3,8% rispetto al 2021, cresciuti del 135% dal 2012.
“Sul fronte delle attività di riciclo i numeri sono altrettanto positivi – spiegano Assobioplastiche, Biorepak e Cic -: il riciclo organico delle bioplastiche compostabili ha raggiunto nel 2022 quota 60,7% dell’immesso al consumo, 9 punti in più rispetto al 2021, superando con 8 anni di anticipo gli obiettivi fissati per il 2030 (pari al 55%)”.A più di 10 anni dall’entrata in vigore del provvedimento che impone che le buste per la spesa (i cosiddetti shopper) siano biodegradabili (negli anni dovranno essere anche compostabili) più di una borsa in plastica “fornita ai consumatori per il trasporto di merci o prodotti” su quattro (il 28% per l’esattezza) non risponde ai requisiti di legge. È insomma illegale.
Il dato è emerso durante la presentazione del “IX Rapporto sulla filiera italiana delle bioplastiche compostabili” presentato il 6 luglio a Roma durante un convegno organizzato da Assobioplastiche, Consorzio Biorepack e CIC (Consorzio Italiano Compostatori). Facendo la spesa al supermarket o nel negozio di quartiere sotto casa, una volta su quattro ci troviamo consegnata una busta che non è certificata biodegradabile e compostabile come impone la legge.
I protagonisti dell’aggiramento della norma rischiano un’ammenda da 2.500 euro fino (in caso di grandi quantità) a 100.000 euro. Eppure nell’ultimo periodo la diffusione degli shopper pirata è aumentata.
La produzione ha raggiunto le 127.950 tonnellate di manufatti compostabili: +2,1% sul 2021, + 226 dal 2012; il fatturato complessivo valeva 1.168 milioni di euro (+10,1% sul 2021, con un tasso di crescita media annua del 10% dal 2012, quando era di 370 milioni).
Gli addetti (le risorse che nelle aziende del comparto si occupano direttamente dei prodotti che entrano nella filiera delle plastiche compostabili) sono 3.005: +3,8% rispetto al 2021, cresciuti del 135% dal 2012.
“Sul fronte delle attività di riciclo i numeri sono altrettanto positivi – spiegano Assobioplastiche, Biorepak e Cic -: il riciclo organico delle bioplastiche compostabili ha raggiunto nel 2022 quota 60,7% dell’immesso al consumo, 9 punti in più rispetto al 2021, superando con 8 anni di anticipo gli obiettivi fissati per il 2030 (pari al 55%)”.